Ci sono crisi internazionali che purtroppo raramente guadagnano grande eco sulle pagine dei giornali, ma non per questo sono meno dolorose per le popolazioni che le subiscono. Questo è senz’altro il caso dal Sahara Occidentale e del suo popolo: i Saharawi.
Da quasi quarant’anni il Marocco occupa illegalmente il territorio del Sahara Occidentale, impedendo ai Saharawi di vivere liberamente nelle loro terre ancestrali. Rabat non si è mai dimostrata molto disponibile a qualsivoglia trattativa, nonostante varie risoluzioni dell’Onu abbiano stabilito che la sovranità sull’ex possedimento spagnolo debba essere decisa per via referendaria, coinvolgendo il popolo Saharawi che ha con quel territorio un legame riconosciuto dalla Corte di Giustizia dell’Aja sin dal 1975.
Il 6 novembre di quello stesso anno re Hassan II, che all’annuncio del referendum vide vanificati i disegni di estensione della sua sovranità anche sul Sahara, annunciò una marcia popolare di occupazione pacifica di 350.000 persone. I marciatori, reclutati in tutto il paese, ricevettero la consegna di una copia del Corano e bandierine verdi, il colore dell’Islam. L’evento passò quindi alla storia con il nome di “marcia verde”. Più che di una marcia pacifica, però, si trattò di una vera e propria invasione nel territorio Saharawi con forze di polizia e militari. Migliaia di persone si diedero alla fuga sotto i bombardamenti dell’aviazione marocchina. Attraverso il deserto giunsero fino al confine algerino dove, nei pressi di Tindouf, venne allestita una prima tendopoli di accoglienza.
La preoccupazione principale del Fronte Polisario, organizzazione militante e movimento politico attivo nato nel 1973, diventò la protezione della popolazione civile dagli attacchi dell’esercito marocchino.
Nel l976 il Fronte Polisario decide di proclamare l’indipendenza e la nascita della Repubblica Araba Saharawi Democratica (RASD). Da allora è stato eretto un muro di oltre 2700 chilometri, circondato da filo spinato e mine (5 milioni secondo i Saharawi), a tutt’oggi ancora presidiato da migliaia di soldati marocchini. Il “muro della vergogna“, lo chiamano i Saharawi. Un “muro di sicurezza” lo definisce invece il Marocco.
Dopo anni di scontri, nel 1990, con la mediazione della Nazioni Unite, si arriva ad un cessate il fuoco ma ad oggi l’intesa non è ancora stata raggiunta. Il nodo rimane il referendum di autodeterminazione (indipendenza o integrazione) previsto dagli accordi di pace su cui ancora però non esiste un punto di incontro tra Marocco e Fronte Polisario. La stessa missione delle Nazioni Unite, MINURSO, istituita per portare a soluzione il contenzioso, viene periodicamente rinnovata senza significativi progressi. Lo scorso marzo si è addirittura verificato un incidente diplomatico in occasione della visita del Segretario Generale delle UN, Ban Ki-moon, che aveva usato la parola “occupazione” per descrivere la presenza del Marocco nella regione. La reazione di Rabat fu durissima: non solo non permise al Segretario Generale di visitare la base della Minurso nel territorio controllato dal Marocco, ma decise di espellere tutta la sua componente civile (75 persone), compromettendone la funzionalità.
In tutto questo, che ruolo gioca l’Unione europea?
L’UE, per bocca principalmente della Commissione e del Consiglio, ma anche di alcune componenti del Parlamento Europeo, è stata a lungo ambigua e colpevolmente silente sulla questione firmando persino, qualche anno fa, un trattato di libero commercio col Marocco, senza pretendere dal Marocco stesso il ripristino dell’indipendenza del Sahara Occidentale. Recentemente però, c’è stato un cambio di rotta. Nel dicembre 2015 il Tribunale di prima istanza dell’Unione europea, raccogliendo le richieste del Fronte Polisario sul pescato di cui è defraudato dal Marocco, ha annullato l’accordo agricolo firmato nel marzo 2012 tra il Marocco e l’Unione europea in quanto danneggia il territorio del Sahara occidentale. In seguito a questa sentenza il Consiglio ha presentato ricorso e a breve la Corte di Giustizia si pronuncerà su questo caso.
Per l’Unione europea il Marocco è sicuramente un partner molto importante, ma ancor di più lo è l’Unione europea per il Marocco stesso: questo è dimostrato anche dalla grande pressione lobbystica che questo Paese svolge all’interno delle Istituzioni europee.
È successo quindi che, mentre nessuno Stato al mondo ha riconosciuto le pretese marocchine sul territorio del Sahara occidentale, al Parlamento europeo qualcuno ha organizzato una mostra (Marocco – La terra delle energie rinnovabili) in cui è stata esposta una mappa dove i territori occupati facevano parte dei confini del Marocco. Così facendo non solo si contraddicono le norme UE basate sul rispetto della legge internazionale e delle risoluzioni delle Nazioni Unite, ma si mina anche la posizione stessa dell’Unione europea sul Sahara occidentale.
In qualità di Vice Presidente dell’Intergruppo sul Sahara Occidentale del Parlamento europeo non potevo non espormi sull’inopportunità di questa mappa e di questa mostra che arriva proprio 6 settimane prima che la Corte di Giustizia si pronunci sul caso. Una scelta inaccettabile, ulteriormente aggravata dal cattivo tempismo. Senza contare il fatto che il tema dell’esibizione sono le energie rinnovabili marocchine: uno studio del Western Sahara Resource Watch afferma che nel 2020 un quarto dell’intera produzione di energie rinnovabili del Marocco proverrà dai territori del Sahara Occidentale! È chiaro che gli interessi di Rabat sulla RASD sono soprattutto di natura economica, essendo quei territori ricchi di fosfati e con un mare molto pescoso.
Non è tuttavia la prima volta che mi trovo a denunciare una situazione simile al Parlamento europeo. L’anno scorso mi ero accorto che in una mostra inerente l’Ucraina, esposta al terzo piano del Parlamento di Bruxelles, era appeso il simbolo del battaglione Azov, un reparto paramilitare ucraino con compiti militari e di polizia di chiara ispirazione nazista e più volte menzionato, persino da fonti americane, come colpevole di efferati crimini di guerra. In quel caso feci un richiamo in Plenaria al Presidente Schulz. Questa volta la nostra tempestiva azione ha portato gli organizzatori della mostra a coprire la mappa del Marocco con una bandiera. Una toppa maldestra e purtroppo comunque insufficiente per rimediare al torto fatto.
La battaglia del MoVimento 5 Stelle a sostegno del diritto all’autodeterminazione dei popoli continuerà senza sosta anche nei prossimi anni. Nell’attesa e con la speranza che la Corte di Giustizia confermi la sentenza del Tribunale di prima istanza, invio un fraterno abbraccio a tutto il popolo Saharawi e a tutti gli attivisti che quotidianamente rischiano la vita per difendere i diritti umani: non siete soli!