I morti si contano o si pesano? Per me, per noi, si contano e basta, e il loro numero è inaccettabile nella sventurata terra siriana, un tempo culla di civiltà e di coesistenza tra religioni ed etnie, oggi un inferno di sangue, estremismo e violenza. Tutti abbiamo appreso i tragici fatti di Khan Shaykhun, morti che piangiamo, violenze che condanniamo senza alcuna riserva, chiedendo un’inchiesta ONU indipendente che accerti le responsabilità perché i colpevoli devono pagare.
Purtroppo però noto che non tutti i morti sono pianti dai media nello stesso modo. Qualche giorno fa altre 23 vittime, di cui 12 donne, sono state trucidate dalle bombe della coalizione internazionale ai confini con l’Iraq. Si aggiungono ai 352 ufficiali dal 2014, forse sono anche di più, sospetto. Tanti sono i disastri umanitari e siriani dimenticati. A Deir ez-Zor da quasi tre anni sono sotto assedio da parte di Daesh, ben 120mila civili intrappolati, che sopravvivono solo grazie ai lanci aerei ad alta quota delle Nazioni Unite. Nessuno li ricorda. Se quella zona fosse controllata dai miliziani, mi e vi chiedo, ci sarebbe forse maggiore attenzione?
Mentre a Ginevra si parla, la Siria brucia e ad Astana si decide. I negoziati ufficiali delle Nazioni Unite sembrano essere ridotti a un mero proforma. Al contrario, nella capitale kazaka viene sempre più definito il piano delle quattro zone di de-escalation, un piano grazie al quale le principali potenze globali e regionali si stanno confrontando sul posizionamento anche delle rispettive milizie satellite, spartendosi di fatto le rispettive zone di influenza nel martoriato scacchiere siriano. La verità è che ormai in questo complicatissimo scenario a tutti conviene quasi cristallizzare il conflitto, piuttosto che rischiare che sia solo uno a vincerlo.
Ma la vera domanda è: chi sarà a liberare Raqqa? Potranno farsi carico di questo immane e terribile compito, pur con i maggiori aiuti statunitensi, solamente i valorosi curdi dell’YPG che per anni hanno dovuto fronteggiare Daesh? Continueremo a tacere sulle pressioni turche, che continuano a considerarli un’organizzazione terroristica e dimostrano con minacce tutt’altro che velate la propria volontà di arrivare a uno scontro armato? Continueremo a tollerare che chi da anni sta pagando un prezzo altissimo in termini di vite, chi combatte questi miliziani pronti a farsi saltare in aria, possa essere aggredito da un paese candidato all’adesione?
Le chiedo inoltre una verifica attenta delle sanzioni anche sui beni dual use, perché, da quello che ci riferisce anche la Mezzaluna rossa presente sul campo, pompe idrauliche e medicine antitumorali incontrano difficoltà enormi per arrivare sul campo e sul terreno in Siria e a farne i conti, come sempre, è il popolo, non certo i leader di qualsivoglia natura e qualsivoglia posizione.
Fortunatamente non siamo un attore armato e non dobbiamo assolutamente diventarlo. Io condivido l’analisi, ciò ci rende più credibili nella transizione e nella ricostruzione, purtroppo è impossibile però implementare efficacemente un piano post-conflitto finché i vari contendenti continuano a disputarsi le spoglie di un paese ormai in macerie. Qui noi possiamo fare la differenza, con il nostro peso geopolitico e soprattutto geoeconomico e commerciale, verso gli attori regionali e non.
Questa brutale guerra per procura, perché di guerra per procura si tratta, deve finire. Il popolo siriano non può continuare a pagare colpe non sue e a piangere morti che sono tutti uguali, perché nessuno di loro è più uguale degli altri.