In questi ultimi giorni non abbiamo fatto altro che sentire Renzi e la sua squadra di Governo sbandierare ai quattro venti la riforma del Senato come una svolta epocale per il nostro paese. D’altronde questa è la legislatura del “fare”, come avrebbe detto Letta, o delle “riforme a tutti i costi”, come direbbe Renzi. Sì, ma fare “cosa” e “quali” costi? Entriamo un po’ nel dettaglio.
Partiamo dalla composizione del futuro Senato. Talmente bizzarra da non trovare alcun modello neanche lontanamente comparabile nelle altre democrazie occidentali. La maggior parte dei membri saranno infatti dei “nominati” espressione delle Regioni e dei Comuni: 21 Presidenti di Regione e delle Province Autonome di Trento e Bolzano, 21 Sindaci dei Comuni Capoluogo delle Regioni, 2 Consiglieri scelti da ciascun Consiglio Regionale per un totale di 42 (Valle d’Aosta e Molise peseranno come la Lombardia!) e infine 2 Sindaci eletti da un’Assemblea dei Sindaci di ciascuna Regione, sempre 42. Ad essi si aggiungeranno ben 21 Senatori nominati direttamente dal Presidente della Repubblica su sua insindacabile iniziativa per 7 anni (gli altri ricopriranno il ruolo finché dura il loro mandato). Dulcis in fundo, resteranno in carica gli attuali Senatori a vita (sono quattro) insieme agli ex Presidenti della Repubblica (che continueranno ad esserlo di diritto). Di tutto un po’ quindi: un’autentica macedonia in cui la maggior parte dei senatori sarà accomunata da una sola caratteristica: ricoprire già un mandato elettivo di grande responsabilità. La domanda più ovvia è: quando troveranno il tempo di seguire anche i lavori parlamentari? Nella migliore delle ipotesi saranno Senatori della domenica.
I 21 Senatori nominati dal Presidente della Repubblica saranno forse gli unici ad avere maggior tempo per svolgere la propria funzione. Ma sono anche un buon modo per far rientrare dalla finestra alcuni membri del CNEL (Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro) che dovrebbe essere abolito… inoltre un’ingerenza così alta sulla seconda Camera da parte del Capo dello Stato, che di fatto determinerà la maggioranza nell’organo, non si vede in Italia dai tempi della Monarchia (all’epoca il Re nominava direttamente tutti i Senatori). Notare poi che i Senatori continueranno ad eleggere proprio il Capo dello Stato, dando luogo a un conflitto d’interesse non indifferente.
L’iter legislativo, vale a dire la procedura di approvazione delle leggi, al posto di essere semplificato diverrà ancora più caotico: altro che superamento del bicameralismo perfetto! Sebbene la fiducia al Governo e l’ultima parola sul bilancio saranno di competenza solo della Camera dei Deputati, dalle analisi di insigni giuristi è emerso che vi saranno ben 12 procedure diverse possibili. A volte le sue deliberazioni saranno superabili dalla Camera con maggioranza semplice, altre volte con maggioranza qualificata. Solo per le revisioni e per le leggi costituzionali manterrà gli stessi poteri che ha ora. Il che, pensando al fatto che non sarà elettivo e che vi siederanno Presidenti e i Consiglieri di Regione, veri campioni di moralità come ci insegna la cronaca (Fiorito, Formigoni, Cota, Vendola vi dicono niente?) desta una certa inquietudine. Specie perché per loro non varranno più le incompatibilità attualmente previste per i Parlamentari. Infatti i Senatori non rappresenteranno più la Nazione.
E i risparmi? Almeno il miliardo di euro promesso da Renzi riusciremo a recuperarlo? Niente affatto! Al massimo saranno 77 milioni di euro che corrispondono alle varie indennità abolite, su un bilancio che è complessivamente di 540 milioni di euro di cui una parte rilevante è fissa, trattandosi di spese previdenziali e stipendi del personale. Senza contare che i costi di vitto e alloggio i Senatori nominati dagli enti locali li metteranno a carico degli enti stessi.
In definitiva ciò che resterà del Senato sarà per certi versi una Camera secondaria, per non dire un’anticamera, disegnata da un Parlamento eletto con una legge incostituzionale ma che sarà destinato ad arrogarsi il diritto di mettere mano alla Costituzione stessa (ben 44 articoli modificati). Per certi altri un serissimo ostacolo a ulteriori (e più sagge) revisioni della Costituzione, visto che in quell’ambito manterrà i suoi poteri attuali. Se aggiungiamo a tutto ciò gli effetti fortemente distorsivi dell’Italicum (liste bloccate, premio di maggioranza pesantissimo, pluricandidature) sull’elezione della Camera dei deputati, che avrà anche il monopolio dei poteri di controllo e di inchiesta (sarebbe stato più logico attribuirlo al Senato, svincolato dalla fiducia al Governo) e la costituzionalizzazione della “ghigliottina parlamentare” grazie ai disegni di legge urgenti, i quali limiteranno fortemente la discussione e la facoltà di proporre emendamenti per le opposizioni… il terzo ventennio è servito. Per fortuna anche nel Partito Democratico qualcuno se ne sta accorgendo: speriamo che per una volta abbiano il coraggio di fare “la cosa giusta” e di “cambiare verso” a una controriforma che in nome del mero interesse elettorale (le europee si avvicinano) vorrebbe stravolgere le nostre garanzie costituzionali.