giovedì 08 giugno 2023

#Oltre questa Europa: ripartire dalla base

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Apr 2014

Qualche giorno fa, navigando sul think tank britannico OpenEurope, mi sono imbattuto in un articolo che ha destato il mio interesse, non certo per le sue conclusioni di stampo neoliberista (l’ennesima invocazione di una maggiore liberalizzazione del mercato come panacea di tutti i mali: come ci si può illudere che l’assenza di buone regole sia curabile con l’ancor più drastica assenza di regole?), piuttosto per le sue premesse. L’autore lamentava infatti l’appiattimento, operato dai media d’oltremanica, del dibattito sull’Unione Europea su due uniche opposte fazioni: da un lato i sostenitori dell’in at any cost (dentro a qualsiasi costo), dall’altro i fautori dell’out at any price (fuori a qualsiasi prezzo).

Se questo processo di “polarizzazione politica” è vero in Gran Bretagna, figuriamoci in Italia mi verrebbe da dire! Ogni giorno sentiamo la recita della stessa, identica commedia. Da un alto i buoni, coloro che sognano con struggente desiderio gli “Stati Uniti d’Europa”. Dall’altro i cattivi, quelli che predicano una repentina fuga dal “tempio europeo” prima che muoia Sansone (l’Unione) con tutti i filistei (gli Stati membri). Tra i primi va annoverato sicuramente l’attuale inquilino di Palazzo Chigi Matteo Renzi, come testimonia il suo discorso per ottenere la fiducia in Senato. Peccato però che non ci spieghi affatto come intenda raggiungere tale obiettivo e come pensi di strutturare una tale Federazione di Stati composta da popoli culturalmente ancora troppo disomogenei. Senza dimenticare l’acrobatica capriola in occasione del suo incontro con il premier inglese Cameron, durante il quale ha affermato che non vuole più Europa, ma un’Europa migliore (testuali parole: “we want a better Europe, not more Europe”). Che fosse una manovra per compiacere proprio quel Cameron che ha annunciato un paio di mesi fa, in caso di vittoria alle politiche 2015, un referendum entro il 2017 per fare uscire il Regno Unito dall’UE è abbastanza evidente. Come ciò si concili con il “sogno” degli Stati Uniti d’Europa di cui sopra è invece uno di quei misteri spiegabili solo attraverso i dogmi della ben nota supercazzola dell’ex Sindaco di Firenze.

Insomma, uno slogan che molti leader europei usano… ma che ben pochi vorrebbero sul serio concretizzare. Visto che poi ad avere l’ultima parola in campo diplomatico, economico, fiscale e militare sarebbe Bruxelles. Ma tanto le belle promesse non costano nulla, se a realizzarle (o a smentirle) dovrà pensarci il prossimo Governo, come insegna il ventennio Berlusconiano.

A questo punto però dovremmo chiederci perché venga indotta questa polarizzazione dai media. A mio modesto parere per un motivo molto semplice: dipingere il mondo in bianco e nero è il miglior modo per nascondere l’infinita scala di grigi che in realtà lo compone. Così si può tentare di far credere ai cittadini meno informati che un sistema elettorale maggioritario e bipolarista sia più stabile di un sistema proporzionale e quindi multipartitico, salvo omettere di dire che un partito enorme con decine di correnti (come il PD) è tutto meno che una maggiore garanzia, né tantomeno specificare che dopo le elezioni si può sempre divorziare consensualmente (come accaduto tra lo stesso PD e SEL) o meno (scissioni FI-NCD e SC-PI). Così, nel nostro caso, si può cercare di soffocare nella culla un serio dibattito sui punti critici dell’attuale struttura dell’Unione Europea. Il fine è sempre lo stesso: difendere e consolidare i tradizionali assetti di potere che rischiano di essere giustamente spazzati via dalla crisi economica.

Noi pentastellati non ci collochiamo né da un lato né dall’altro di questo tavolo artificiale. Sfatiamo quindi un falso mito diffuso dai media di regime: il MoVimento 5 Stelle non è affatto un movimento anti-europeo, anzi è vero l’esatto contrario. Tutt’al più abbiamo forti perplessità su come è stato concepito l’euro come moneta, per via della perduta flessibilità economica derivante dall’impossibilità di operare svalutazioni o di espandere la massa di denaro in circolazione. Specie se tale condivisione del credito non è quantomeno controbilanciata da una condivisione del debito, i famosi eurobond (punto 3). E direi che non siamo affatto soli, visto che ben 6 premi nobel per l’Economia (cioè Krugman, Friedman, Stigliz, Sen, Mirrless e Pissarides) lo sostengono da anni. Perché quindi non informare i cittadini e poi consultarli direttamente con un referendum (punto 1)? L’abolizione delle catene imposteci dalla regola del pareggio di bilancio (punto 7) e dal Fiscal Compact (punto 2) che, tra l’altro, è un normale trattato internazionale e non fa parte del diritto dell’Unione Europea, non vuol dire chiedere dov’è l’uscita sul retro, ma combattere per un’Europa più equa, un’Europa che non ci chieda di cannibalizzare la nostra economia in nome di un rigore e di un’austerità che non possiamo permetterci. E francamente l’alleanza tra i Paesi mediterranei per una politica comune (punto 4), l’esclusione degli investimenti in innovazione e nuove attività produttive dal limite del 3% annuo di deficit di bilancio (punto 5) e il finanziamento per le attività agricole e di allevamento finalizzate ai consumi nazionali interni (punto 6) mi sembrano tutti presupporre necessariamente la nostra partecipazione alla costruzione europea.

Ma per costruire un progetto solido bisogna partire da una base ancor più solida, nel nostro caso rappresentata dalle regole fondamentali che disciplinano i processi decisionali nell’Unione. Il vero deficit da abbattere senza indugi è il deficit di democrazia che opprime dall’interno le sue istituzioni. Non possiamo più accettare che il Parlamento Europeo e i cittadini europei siano privati dell’iniziativa legislativa, attualmente monopolizzata dalla Commissione (la quale può tranquillamente ignorare anche le iniziative dei cittadini che raccolgano il milione di firme in almeno 7 Stati richiesto!). Non possiamo più tollerare che gli europarlamentari, espressione del voto popolare, restino relegati ai margini della governance economica europea, dominata invece da una troika di tecnocrati nominati dai Governi degli Stati, vale a dire la Commissione stessa, la Banca Centrale Europea e il Fondo Monetario Internazionale. Per cambiare l’Italia dobbiamo andare in Europa, continuando a piantare con perseveranza anche a Bruxelles il seme della democrazia partecipata.

I sette punti lo dimostrano chiaramente: noi non vogliamo andare oltre l’Europa. Vogliamo un’Europa che vada #Oltre. E oltre un’Unione di Stati, per noi c’è una Comunità di popoli.

7 punti

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