L’esercito comune europeo nascerà entro 1 anno? Apparentemente sì, quantomeno un suo primo zoccolo duro. Il piano è in via di definizione: un documento lo conferma. Bastonata dal voto popolare che ha sancito la Brexit, impaurita da un terrorismo che ha dimostrato di non saper combattere efficacemente sul piano della prevenzione, sorda alla disperazione della disoccupazione e delle diseguaglianze crescenti, l’Unione europea targata Juncker decide di rilanciarsi partendo dalla politica di difesa. Il vertice di Ventotene (con Renzi, Merkel e Hollande) e quello di Varsavia (con Merkel e i primi ministri di Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia e Ungheria) hanno preparato il terreno per il piano in cinque punti che pone come obiettivo la nascita di veri e propri battaglioni sotto bandiera Ue, pienamente operativi nel giro di 12 mesi. Entro il prossimo mese di dicembre dovrebbe arrivare la proposta della Commissione ed entro giugno 2017 il via libera definitivo di Consiglio e Parlamento europeo.
FLESSIBILITÀ PER L’ACQUISTO DI ARMI
La caciara di Renzi sulla conferenza stampa con la Merkel ha occultato la vera notizia uscita dal Consiglio europeo di Bratislava: la creazione di un quartier generale, che avrà sede probabilmente a Bruxelles, per gestire in modo centralizzato tutte le missioni europee (anche quelle prevalentemente civili) e la possibilità di concedere maggiore flessibilità di bilancio per gli investimenti nel settore della difesa. Come al solito la scandalosa ricetta dell’austerità non cambia: vergogna! I fondi per la prevenzione dei terremoti, per la scuola e gli ospedali continuano a non essere scorporati dal Patto di Stabilità, mentre adesso gli Stati avranno “lo sconto” per acquistare munizioni e carri armati. Renzi ha saltato la conferenza stampa con la Merkel ma questi provvedimenti, voluti proprio dalla Merkel e da Hollande, li ha approvati con entusiasmo.
GLI AFFARI DELL’INDUSTRIA BELLICA
Chi farà lucrosi affari grazie a questo regalo al settore bellico? I francesi che sono leader mondiali nel settore aerospaziale e dei sottomarini, la tedesca Siemens che vende principalmente armi leggere e munizioni, l’italiana Finmeccanica che vuole piazzare i suoi elicotteri e radar. Nel 2014, grazie ai bombardamenti in Siria, il volume d’affari dell’industria bellica francese è raddoppiato; stesso boom per l’export di armi della Germania grazie a generose commesse proveniente dall’Arabia Saudita e dal Qatar. E l’Italia di Renzi, sempre più lontana dagli interessi dei cittadini è sempre più vicina a quelli delle lobby non vuole essere certo da meno.
C’È CHI VUOLE UNA GUERRA CON LA RUSSIA
La proposta di creare un esercito europeo non scioglie il dubbio su chi lo comanderà e soprattutto non spiega con quali finalità e obiettivi precisi nasca. Anziché cercare il dialogo e una cooperazione costruttiva con la Russia, i Paesi dell’est Europa vedono in questa struttura il manganello giusto per innalzare il livello di tensione e di scontro con il Kremlino. Basta leggere il progetto di relazione sull’Unione europea della difesa presentato dall’europarlamentare estone Urmas Paet per capire da che parte tira il vento: fra le iniziative di lancio dell’esercito europeo individua “il sostegno al dispiegamento di battaglioni internazionali negli Stati membri sul fianco orientale”. Alla faccia della distensione.
CHI COMANDERÀ L’ESERCITO EUROPEO?
Chi deciderà quali saranno le aree di crisi su cui impiegare le forze militari? Chi stabilirà le regole di ingaggio e le finalità degli interventi? Chi svolgerà il controllo politico sulle scelte e sulle responsabilità di comandanti e generali? Il rischio di deficit democratico è forte. Dobbiamo evitare che si ripetano gli stessi errori che hanno portato alla costruzione della moneta unica dove le regole per arrivare all’integrazione economica (Trattato d Maastricht) sono servite alla Germania per imporre la sua leadership sugli altri Paesi membri. È inaccettabile continuare a costruire l’integrazione dal tetto della tecnocrazia e non sulla base della democrazia.
LE PROPOSTE DEL MOVIMENTO 5 STELLE
1) applicare rigorosamente la Posizione comune Ue e vietare la vendita delle armi a tutti quei Paesi che finanziano direttamente o indirettamente il terrorismo.
2) creare una struttura di difesa europea che non abbia nessuna finalità neocoloniale o di ingerenza indebita nei paesi terzi, ma che sia solo uno strumento di peacekeeping al servizio delle Nazioni Unite e di razionalizzazione della spesa militare tramite i tagli agli sprechi e i risparmi derivanti dall’economia di scala, al fine di consentire agli Stati membri di liberare risorse economiche importanti per le politiche sociali.
3) rinsaldare la cooperazione europea al fine di riequilibrare i rapporti di forze della Nato, oggi troppi sbilanciati in favore degli interessi geopolitici degli Stati Uniti, per tornare a far sì che agisca in conformità alla sua natura di alleanza esclusivamente difensiva.
4) combattere davvero il terrorismo, partendo dall’intelligence, dalla prevenzione e dalla lotta alle predicazioni radicali e ai loro sponsor diretti e indiretti. Nonostante i 4.400 miliardi di dollari spesi nelle guerre in Iraq, Afghanistan e altre aree di crisi, sono nate più di 30 nuove sigle terroristiche. Le bombe non estirpano il male, anzi lo stimolano permettendogli di proliferare.
5) aumentare le risorse logistiche e il personale delle forze di polizia. Gli Stati europei non possono più essere gelosi custodi delle loro informazioni e delle loro intelligence. Gli strumenti ci sono (Europol, Eurojust, il sistema di scambio dati Siena), ma non funzionano perché la volontà di molti Stati è proprio quella di non condividere le informazioni.
Ecco la prima pagina del piano Juncker per rilanciare l’Unione europea dopo la Brexit. Il punto 4 prevede la nascita dell’esercito europeo: