domenica 04 giugno 2023

La verità nelle email di Hillary: la Libia nel baratro e gli affari di Sarkozy

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Feb 2016

Impedire che la Libia sprofondi definitivamente nel caos è diventata una corsa contro il tempo. E il tempo scorre veloce, ogni giorno di più. Con un’economia ormai prossima al collasso per via da un lato della scelta della Banca Centrale Libica di sovvenzionare, ormai da anni, le milizie tanto di Tobruk quanto di Tripoli, dall’altro del crollo della produzione di petrolio precipitata a 200.000 barili al giorno rispetto agli 1,5 milioni di prima della guerra civile, l’unica fragile speranza è appesa alla formazione del neo-Governo di Unità Nazionale guidato da Fayez Sarraj. Gli echi di un costante rafforzamento delle truppe del Califfato in Libia nelle sue roccaforti Derna e Sirte, nonché i suoi recenti attacchi alle infrastrutture petrolifere strategiche del paese, in particolare al terminal di Ras Lanuf sembrano aver impresso finalmente un’accelerazione concreta agli estenuanti negoziati che si trascinano da mesi. Sembrerebbe quasi il momento di tornare a sorridere. Eppure il terribile sentore che questo esecutivo possa essere solo una facciata per legittimare una nuova operazione militare targata Parigi, Londra e Washington, con Roma sempre oscillante tra il desiderio di avere un ruolo di primo piano e la paura di compromettere ulteriormente la stabilità del paese (e quindi degli interessi petroliferi dell’ENI) non è venuto solo al sottoscritto.

Peraltro, il rischio che una simile operazione finisca per compattare il fronte dell’estremismo islamico intorno a Daesh nel nome della retorica della “resistenza all’invasione dei crociati” è altissimo. Ma sembra che ai nostri governanti poco importi. Del resto, che i diritti del popolo libico e la sicurezza dei cittadini europei non siano certo le vere motivazioni di questo genere di operazioni ce lo dice la storia, anche recente. In questo contesto, infatti, gettano una nuova luce sul disastro libico del 2011 le rivelazioni delle vere intenzioni dell’ex presidente francese Nicolas Sarkozy che fu, insieme al premier britannico David Cameron e persino prima di lui e più di lui, acceso interventista con gli attacchi aerei del marzo 2011, che portarono all’uccisione di Muammar Gheddafi. Al di là degli intenti nobili proclamati, come quello di liberare il Paese da un ex amico di Usa ed Europa improvvisamente tramutatosi in tiranno da abbattere, le mire di Sarkozy erano piuttosto energetiche, geopolitiche, economiche. E perfino – questa la novità che apprendiamo solo adesso – legate a importanti interessi valutari (e di nuovo geopolitici) della Francia in Africa.

Sapevamo già tutto? Non esattamente. Magari potevamo intuire più di qualcosa, ma da poco abbiamo dei primi riscontri concreti. Il quotidiano francese Le Monde ha diffuso pochi giorni fa una nuova ipotesi, che si affianca a quelle già circolate in passato ma è, se possibile, ancora più sorprendente delle altre: quella che la Francia fosse preoccupata dalla possibilità che Gheddafi volesse sostituire la moneta africana, agganciata al prima al franco e poi all’euro, con una nuova valuta pan-africana controllata proprio da Tripoli. La fonte è rappresentata da una email indirizzata a Hillary Clinton da parte di un suo stretto collaboratore e resa pubblica dal dipartimento di Stato solo il 31 dicembre 2015 per ordine di un tribunale statunitense nel quadro dello scandalo delle email, insieme ad altre 3000 email private della candidata democratica alla presidenza.

In questa specifica email inviata a Clinton il 2 aprile 2011 dal consigliere politico Sidney Blumenthal si legge: “Fonti con accesso ai collaboratori di Saif al-Islam Gheddafi (uno dei figli del Raìs) affermano con la massima certezza che nonostante il blocco dei conti bancari libici all’estero, la capacità di Muammar Gheddafi nell’ equipaggiare e mantenere le forze armate così come i servizi di intelligence rimane intatta”. Le potenzialità dell’ingente tesoro (“143 tonnellate di oro e lo stesso ammontare in argento”, per un valore stimato di 7 miliardi di dollari), all’epoca ancora nelle mani del Raìs, potrebbero essere anche spese in una operazione monetaria dalla vasta portata geopolitica. Secondo Blumenthal, infatti, “l’oro era stato accumulato prima della ribellione (di diverse fazioni libiche contro Gheddafi) nell’intento di stabilire una moneta pan-africana basata sul dinaro aureo libico”. Un progetto la cui finalità ultima era quello di “dotare i Paesi francofoni dell’Africa di un’alternativa al franco francese (CFA)”.

A margine di questa sconcertante rivelazione, il consigliere politico americano aggiunge anche una serie di considerazioni che vale la pena di riportare. Da fonti ben informate, osserva Blumenthal, si apprende come l’impegno militare di Sarkozy in Libia contro Gheddafi era determinato da specifiche mire. Tra queste, il desiderio di ottenere una fetta maggiore di risorse petrolifere e la necessità di riaffermare l’influenza della Francia su tutto il Nord-Africa e sulla regione francofona. Aggiungo a margine che i contratti petroliferi Sarkozy voleva strapparli all’Italia, storicamente il maggior partner energetico di Tripoli, che un accordo del 2008 aveva confermato in questa invidiabile (almeno per Roma) posizione. Lasciatemi dire: non certo un bell’esempio di unità e cooperazione tra Paesi dell’Unione europa!

Non è la prima volta che il vaso di Pandora delle email di Hillary Clinton fa emergere una verità ben diversa da quella raccontata da Parigi sull’intervento in Libia. Quando alcuni media francesi avallavano la tesi degli attacchi aerei provocati della la rabbia dell’Eliseo per la violenta repressione della rivolta contro Gheddafi nel Febbraio 2011 e il filosofo Bernard-Henry Lévi si faceva promotore e garante ideologico dell’intervento armato, quello che veniva omesso era dunque il coinvolgimento interessato della Francia. Intenzioni di non certo umanitarie, quelle di Sarkozy, di cui faranno giustizia altre email, indirizzate ancora una volta da Blumenthal a Clinton nel marzo 2011 e rese pubbliche nel giugno 2015. Senza contare le accuse all’entourage stesso dell’ex Presidente francese di aver ricevuto finanziamenti elettorali proprio da Gheddafi stesso.

La verità non danneggia mai una causa. A patto che si tratti di una causa giusta”, diceva il Mahatma Gandhi. Di fronte al triste spettacolo di una Libia che sprofonda nel baratro – e di un conflitto ancora lontano dall’essere risolto – le verità che emergono oggi ci dicono molto sul passato. L’interesse economico e politico privato, fosse pure di un’intera nazione a discapito di un’altra, non è mai causa né buona né giusta. E soprattutto genera i mostri che abbiamo di fronte agli occhi: quel vuoto di potere riempito, purtroppo, dalla violenza delle armi.