sabato 25 marzo 2023

Grecia-Macedonia: se l’Europa abbandona Atene. E si suicida a Idomeni

07

Mar 2016

L’ombra del sospetto aleggia da tempo. E i tragici fatti di questi giorni la rendono ancora più grande e sempre più oscura. Le centinaia di migliaia di profughi che, nel loro cammino sulla rotta balcanica, vengono bloccati al confine con la Macedonia. Il modo in cui il flusso di migranti, rifugiati e richiedenti asilo viene smorzato o lasciato avanzare. Come fosse un gigantesco rubinetto che a piacimento viene aperto o chiuso a seconda del bisogno del padrone di casa. E non di chi ha sete.

Ma il vero padrone di casa, in realtà, chi è? Nei giorni degli scontri di Idomeni – cittadina il cui nome e collocazione geografica, tra Macedonia e Grecia, evoca nella mia mente i ricordi di antiche ed epiche battaglie – è proprio questo il vero quesito. Accantoniamo per un istante il furibondo gioco tra nazioni europee ed extra europee – la Turchia di Erdogan che brandisce come arma di ricatto la scelta di ospitare o, al contrario, di far transitare liberamente i migranti verso la Grecia e l’Europa per ottenere i soldi e il silenzio dell’Unione sulla deriva autoritaria contro i media e sulla repressione verso i curdi, la Germania della Merkel che a sua volta alternativamente e selettivamente prima li vuole e poi, sulla spinta dell’opinione pubblica, di nuovo li blocca, l’Austria che chiude le proprie frontiere considerandosi assediata – e tutte le altre forze che hanno il pur minimo interesse a sospingere un’ondata di profughi senza precedenti verso le coste del Vecchio continente. È difficile però pensare che potere risieda in questo momento nelle mani di chi governa ad Atene.

Il sospetto, quindi, che l’Europa stia giocando una sporchissima partita per marginalizzare una volta di più la patria della tragedia e della filosofia è molto forte. “Il governo Tsipras”, osserva il giornalista greco Dimitri Deliolanes, “è da tempo convinto che c’è un progetto del Nord Europa di bloccare il flusso nei paesi di prima accoglienza, sfruttando il regolamento di Dublino, tuttora in vigore – anche se la Commissione dichiara di volerlo abbandonare. Il fine inconfessato sarebbe quello di trasformare Grecia e Italia in una sorta di “magazzino” di anime. Questo sospetto è alimentato dal fatto che la Commissione sta portando avanti un progetto di rafforzamento del muro innalzato dal governo della Macedonia ex jugoslava. Lo ha assicurato Juncker in una lettera al premier sloveno e lo ha confermato Dombrovskis”.

La missiva in questione, datata 25 gennaio, è quella che il presidente della Commissione Europea aveva indirizzato al premier sloveno per appoggiare il suo progetto. Lubiana aveva proposto all’Unione europea di rafforzare il confine tra Macedonia e Grecia al fine di porre argine al flusso dei migranti. Come conseguenza, Atene avrebbe dovuto sopportare il peso degli arrivi, pagando di fatto l’irritazione di altri Paesi dell’Unione, segnatamente Germania e Austria, che proprio alla Grecia avevano attribuito le molte mancanze nella gestione dell’emergenza.

Anche se Bruxelles interviene alla fine con un modesto piano da 700 milioni di euro, ad avviso mio e di molti decisamente insufficiente e tardivo, Atene rimane sotto ricatto. Se per settimane è stata fatta trapelare addirittura l’ipotesi dell’espulsione del Paese dall’area Schengen, isolandola dalla libera circolazione, al vertice europeo del 7 marzo, come era accaduto al precedente Consiglio di febbraio, il governo Tsipras sarà costretto a minacciare il veto se le frontiere con la Macedonia non verranno aperte e non si agirà efficacemente per evitare che la nazione ellenica resti sola e a rischio collasso.

La civiltà che definiamo europea è nata in Grecia. Molti la fanno risalire a un evento del V secolo avanti Cristo come la vittoria contro l’impero persiano che ha di fatto segnato il prevalere della democrazia sull’autoritarismo. Proprio come nei fregi del Partenone, nei quali Fidia ha cristallizzato la battaglia tra la brutalità delle forze ancestrali e l’umanità che la Grecia di Pericle – come anche di Platone, di Euripide – era fiera di rappresentare. Di quella città fondata sulla discussione democratica che prendeva luogo nella pubblica piazza nell’agorà, si vantano di essere oggi eredi le nazioni europee.

Ma solo con tante parole al vento. Perché, con una notevole dose di cinismo ed egoismo, hanno fatto di tutto per affossare la piccola e sofferente nazione del Sud, socializzando in capo a tutta la popolazione il costo di decenni di politica corrotta e clientelare della sua classe dirigente, che ne è stata invece l’unica beneficiaria. La Grecia è stata infatti il principale capro espiatorio della crisi finanziaria più devastante dopo quella del 1929. La crisi che ha portato al temuto Grexit a luglio e al terzo, rovinoso piano di salvataggio, avrebbe potuto (e dovuto) essere un punto di svolta per superare le politiche di austerità e correggere le profonde asimmetrie dell’eurozona (fisco, vere garanzie uniche sui depositi, mancanza di una politica economica espansiva), ma i pavidi e ipocriti sedicenti “progressisti” Renzi e Hollande si sono limitati a svolgere il ruolo di poliziotti buoni, spingendo Tsipras a piegare quanto prima il capo e a offrire una resa incondizionata, per la gioia del falco tedesco Schäuble e del fronte del Nord. Il problema non è stato risolto, semmai aggravato, visto che per lo stesso FMI il debito greco è insostenibile. E si ripresenterà molto presto.

Nel frattempo, molti indizi fanno credere che oggi la Grecia rischia di essere umiliata ed esclusa, nel gioco al massacro sulla pelle dei migranti. Forse, mi viene da dire, persino punita per aver osato sperare di poter sfidare il cammino lacrime e sangue già tracciato. Che qualcuno a Bruxelles si sia fatto sedurre dalle strategie terroriste del “punirne uno per educarne cento?”. È una domanda pesante, ma tutt’altro che temeraria. Il progetto comunque sembra essere sempre più quello di ricattarla, costringendola a diventare la zona cuscinetto in cui stipare il maggior numero di rifugiati e migranti possibile, magari in cambio di un improvviso ammorbidimento dell’intransigenza tedesca sull’ennesimo taglio lacrime e sangue alle pensioni. Un angolo oscuro in cui nascondere l’imbarazzo e la vergogna di un’Europa che, di fronte alla necessità di gestire unitariamente l’emergenza, di concretizzare seriamente la tanto sbandierata solidarietà, di lottare quella povertà e quello sfruttamento che ne sono le radici profonde, si scopre la più meschina e divisa di sempre.

Qualcuno potrà pensare che non ci riguardi. Not in my backyard, NIMBY, direbbero gli anglofoni: “non nel mio cortile”. Ma tra poco sarà primavera. Si prepara l’ennesima, folle guerra in Libia per accaparrarsi le sue risorse petrolifere. Si riaprirà la rotta mediterranea della disperazione. E il prossimo cortile sarà di nuovo il nostro. Se come italiani non pretenderemo un Governo davvero in grado di agire con fermezza e fare squadra con gli altri paesi euromediterranei per esercitare una pressione comune, costi quel che costi, come sempre il fronte del Nord ci dividerà, sopraffacendoci (e gestendoci) uno per volta. E diventeremo quel “magazzino di anime” che ad altri farebbe tanto comodo. Prima la Grecia. Poi l’Italia. Dividi et impera… l’hanno inventato proprio i nostri antenati romani qualche millennio fa. E se Renzi non è in grado o ha le mani legate per svolgere questo ruolo, dobbiamo pretendere che sia lui a migrare da Palazzo Chigi. A quando il risveglio del nostro coraggio e del nostro buonsenso?