Stamattina, 23 aprile 2015, sono intervenuto al Forum mondiale dal titolo “Contro il crimine del genocidio” che si sta tenendo in questi giorni a Yerevan, in Armenia, in occasione del centesimo anniversario del genocidio armeno. Ecco il testo del mio discorso:
Eccellenze, cari colleghi e soprattutto cari amici,
è mia abitudine cominciare i discorsi che mi toccano più profondamente partendo da quel passaggio fondamentale con cui molti, invece, concludono: dai ringraziamenti. Ecco perché desidero ringraziare con tutto il mio cuore il Governo e il popolo armeno per la splendida ospitalità, il calore e l’amicizia che ci ha dimostrato in questi giorni. E desidero esprimervi inoltre la mia gratitudine per averci permesso di dibattere su un crimine che scuote profondamente le coscienze, rendendo proprio per questo così necessaria e irrinunciabile una vera riflessione.
Il popolo armeno ha sperimentato questo indicibile dolore sulla sua pelle: proprio questa sua sofferenza ha plasmato nella mente di Raphael Lemkin l’unione delle parole che compongono la parola stessa, Genocidio. Sterminio di un’intera stirpe. La stessa natura di questo crimine è talmente efferata da essere l’antitesi stessa del concetto di società e di umanità: cosa vi può essere di più orribile al mondo della sistematica distruzione totale o parziale dell’identità, della cultura di un popolo al fine di distruggerlo o di assimilarlo? Della volontà di annichilire l’altro semplicemente in quanto ontologicamente altro, negandogli il diritto alla vita? L’abisso di questo orrore è quindi ben maggiore di quello raggiungibile dalla più profonda fossa comune mai scavata in queste terre, in Ruanda, in Cambogia, in Sudan, nell’ex-Yugoslavia. In qualsiasi luogo. A buon diritto il genocidio fu definito, in una celebre sentenza, il crimine dei crimini.
Gli insigni studiosi che hanno partecipato alle sessioni di ieri hanno approfondito gli aspetti storici e l’evoluzione del concetto nel corso dei decenni. A noi, che ricopriamo una carica istituzionale pubblica, spetta un compito diverso: dare una risposta politica efficace.
Una risposta politica netta a ogni diniego e a ogni tentativo di minimizzare la sua portata, di degradare tale crimine a un reato minore, a un dilemma insolubile, a un semplice dibattito accademico. Una risposta chiara e forte dinanzi a quegli Stati che ancora non vogliono adottare una legislazione che punisca adeguatamente tali azioni. Una risposta che deve necessariamente andare anche oltre: perché la repressione è solo una soluzione tampone, se non è accompagnata da un’adeguata e sistematica cultura per sradicare quelle precondizioni del genocidio che sono il culto della violenza e della prevaricazione, il nazionalismo, il fanatismo, la xenofobia, l’intolleranza etnica e religiosa. La superficialità. L’indifferenza. E ciò nelle nostre grandi città come nel piccolo villaggio.
A quanti si illudono che basti semplicemente altra violenza ricordo che i proiettili e le bombe ammazzano gli uomini. Non uccidono le idee. Tantomeno quelle perverse.
Ma affinché questa risposta sia efficace deve essere credibile: perciò dobbiamo innanzitutto interrogare noi stessi sulla coerenza delle nostre azioni. Proprio noi europei, che ci macchiammo del sangue del colonialismo, che non riuscimmo a impedire le barbarie del totalitarismo abbiamo una responsabilità ancora maggiore sulle nostre spalle. Una responsabilità da portare con umiltà, consci dei nostri errori ancora da emendare. Con questa stessa umiltà io oggi formulo l’auspicio che il popolo turco possa presto compiere quel giusto e nobile passo verso la riconciliazione, il riconoscimento farà in modo che i rapporti tra l’Armenia e la Turchia possano pienamente riallacciarsi e si possa finalmente sanare questa ferita che ancora vi divide. Saluto il grande impegno della sua società civile in questa direzione.
Per raggiungere questa riconciliazione io credo che anche noi, come europei, possiamo fare molto. E non bastano le Convenzioni, né può bastare la pur utile e importante risoluzione di recente approvata al Parlamento Europeo. Dobbiamo ricordare a noi stessi, cari amici e colleghi, che un principio è tale solo se vale sempre e non secondo convenienza.
Ricordiamocene subito, se ci dovesse sfiorare la tentazione di far prevalere l’aspetto commerciale sul piano politico, l’interesse economico sull’affermazione dei diritti umani. Lo dico anche al mio Governo, quello italiano, che spero ascolti bene queste parole!
Ricordiamoci ogni giorno di questo dovere morale, di questo imperativo categorio, prima di compiere quelle azioni per le quali centinaia di migliaia di cittadini ci hanno accordato la loro fiducia. Perché non possiamo pretendere dagli altri quel che non siamo pienamente capaci di compiere noi stessi. Sii il cambiamento che vorresti vedere nel mondo, avrebbe detto il Mahatma Gandhi.
Solo allora potremo dare con animo leggero e profonda convinzione la risposta di cui parlavo prima, quella risposta alla cinica e terribile domanda che un criminale come Adolf Hitler disse ai suoi seguaci per giustificare l’olocausto: who, after all, speaks today of the annihilation of the Armenians?
E quella risposta sarà a gran voce che noi in questa sala ne parliamo, che i nostri popoli lo ricordano, che la comunità mondiale non dimentica… e non dimenticherà mai.
Che il mondo non cambia con la nostra eloquente opinione: cambia solo con il nostro esempio coerente. Quindi diamolo. Iniziamo a darlo ora !
Grazie.