Da anni in Turchia è in atto una guerra strisciante contro il popolo curdo, fatta di discriminazioni, azioni repressive o veri e propri atti di guerra. Quel popolo curdo al quale – se lo consideriamo in prospettiva storica – il cinismo politico delle cancellerie occidentali non ha permesso di raccogliersi in una propria, singola nazione, che sarebbe potuta sorgere dalla dissoluzione dell’Impero ottomano. Al contrario, il popolo curdo e si è disperso tra differenti Paesi: la stesse Turchia, la vicina Siria, l’Iraq.
La questione curda in Turchia non è certo priva di controversie. Il Paese è stato scosso negli mesi più recenti da una serie di sanguinosi attentati terroristici, talvolta esplicitamente rivendicati da formazioni filo-curde, talvolta ad esse attribuite. Ankara ha reagito con durezza, giustificando le azioni di repressione contro il popolo curdo, anche quando dirette contro i civili, con ragioni di sicurezza interna. La minoranza di lingua curda, da sempre colpita dalla marginalizzazione culturale messa in atto dalla maggioranza turcofona, non ha subito soltanto attacchi indiscriminati sul proprio territorio. Anche nelle prigioni le violazioni dei diritti umani nei confronti dei curdi si sono moltiplicate, tanto che molti attivisti hanno denunciato il raggiungimento di un verso e proprio punto di non ritorno.
L’ultimo significativo atto di ostilità anti-curdo si è indirizzato al terminale politico e istituzionale della minoranza in Turchia. A metà maggio, la Grande Assemblea Nazionale di Ankara ha approvato un emendamento costituzionale che revoca l’immunità parlamentare per i deputati sotto inchiesta.
Il provvedimento, proposto dall’Akp del presidente Erdogan, colpisce 138 membri dell’assemblea e tra questi, 50 su 59 del partito filo-curdo Hdp, tra cui lo stesso leader Selahattin Demirtas. Molti rischiano l’arresto, in nome delle severe regole antiterrorismo – peraltro oggetto di una controversia tra la Turchia e l’Unione europea -, come fiancheggiatori del nemico giurato di Ankara: il Partito dei Lavoratori curdi (Pkk).
Con l’entrata in vigore di questa norma liberticida e con l’apertura di processi a carico dei parlamentari dell’Hdp, i rapporti di forza e i numeri all’interno del parlamento turco sono ormai destinati a cambiare – come ho sottolineato nel mio intervento in aula a Strasburgo. Il presidente Erdogan, infatti potrà modificare più liberamente la carta costituzionale e accentrare ulteriormente i poteri esecutivi del presidente a discapito di quelli del Parlamento.
Eppure, non possiamo assistere all’ennesimo atto autoritario da parte di Erdogan, tollerandolo senza minimamente reagire. Non possiamo permettere che, in un Paese candidato ad aderire all’Unione europea, si demolisca pezzo dopo pezzo, lo Stato di Diritto.
L’Europa, invece, sta a guardare e tira dritto. Presa dalla paura, se non addirittura dal terrore, di dover gestire senza la sponda di Erdogan il flusso di rifugiati in fuga da Siria e Iraq – in fuga, oltretutto, da un conflitto su cui pesano come un macigno le responsabilità dell’Occidente. Si pensi solo che, mentre l’Assemblea di Ankara segue i dettami del presidente-sultano, a Bruxelles di discute ancora se la Turchia sia o meno un Paese di origine sicuro! E non ho motivo di dubitare che la decisione finale a riguardo sarà positiva.
Continuiamo pure a far finta di non vedere la gravità di quello che sta accadendo. Ma è bene che si sappia da subito: accettando tutto questo, verremo ricordati come complici.