In Ucraina orientale, dopo tante parole spese nei palcoscenici della diplomazia internazionale, sono tornate a parlare le armi. Sia il governo ucraino che i separatisti filo-russi, infatti, violando gli accordi di Minsk, stanno impiegando oltre alle armi leggere anche artiglieria pesante, mortai e carri armati. Nei territori vicini al fronte di guerra la vita è diventata difficile, alcune città sono rimaste senza elettricità, acqua e soprattutto riscaldamento, in un periodo come questo in cui la temperatura di notte scende a -20 gradi centigradi.
Ormai è chiaro ed evidente che in Ucraina si sta consumando un nuovo capitolo dell’atavico scontro tra Russia e Occidente, ma a un prezzo altissimo: la guerra civile ha provocato quasi 10mila morti in tre anni. Per non parlare della drammatica situazione dei diritti umani.
Secondo uno studio di Amnesty International intitolato “You Don’t Exist”, sia le autorità del governo di Kiev che i gruppi paramilitari filorussi utilizzano sistematicamente metodi coercitivi ai danni della popolazione civile. In molti dei casi investigati le vittime sono state utilizzate per uno “scambio di prigionieri”, elemento questo che non fa che aumentare la “caccia” ai civili da entrambe le parti del fronte, anche senza particolari motivi strategici, alimentando le preoccupazioni delle organizzazioni internazionali che si occupano di diritti umani.
E cosa fa l’Unione europea all’aggravarsi delle ostilità nell’Ucraina orientale? Ne discute in Plenaria a Strasburgo. E posso assicurarvi che, ascoltando il dibattito in aula, risulta chiaro come l’unico colpevole sia già stato identificato a priori: si tratta della Russia, più volte indicata in Plenaria e nei fora europei come responsabile unico per la maggior parte dei problemi nel mondo. Le voci che esprimono un punto di vista diverso sono poche e per lo più ignorate. Giudice e giuria sono quindi qui presenti, manca solo il boia mi verrebbe ironicamente da dire.
In realtà, cosa stia succedendo veramente sul terreno è ben più difficile da spiegare, soprattutto senza fare una premessa importante: nonostante lo spaventoso numero di morti e dispersi, l’attuale conflitto è soprattutto combattuto con la propaganda. Sparano le armi ma sparano anche i media. I siti d’informazione danno versioni diverse. Alcuni accusano i russi, altri non prendono posizione ma si limitano a richiamare entrambe le parti. Una minoranza parla di una “strisciante offensiva ucraina” con il fine di creare una nuova situazione sul terreno e allontanare la prospettiva che le sanzioni imposte alla Russia possano essere rimosse. Questa possibilità viene motivata dalla rinnovata forza dell’esercito ucraino che, a seguito di un importante investimento di 6 miliardi di dollari, è arrivato a contare 250.000 unità attive, senza dimenticare l’ombra della NATO che, con il recente ulteriore rafforzamento della sua presenza nella zona baltica, è arrivata ad avere 7000 truppe (tra cui 4000 americane, il maggior dispiego americano in Europa dai tempi della Guerra Fredda) attive in “esercitazioni” nella regione.
Va inoltre ricordata un’importante scadenza alle porte: febbraio-marzo 2017 è la data entro la quale il Fondo Monetario Internazionale ha chiesto all’Ucraina di implementare una serie di riforme che prevedono seri tagli alla spesa sociale, incluse le pensioni, e un radicale aumento dei prezzi dei servizi di base, oltre alla privatizzazione dei territori coltivabili. Queste condizioni, peraltro ignorate nella legge di budget Ucraina per il 2017, segnerebbero il colpo di grazia per l’economia del paese che, di fatto, è tenuto in vita artificialmente grazie a prestiti e aiuti esterni. Una delle poche scelte percorribili per Poroshenko è dunque quella di mantenere vivo il conflitto: fino a quando qualcuno sarà disposto a finanziare il paese per contrapporsi alla Russia, l’Ucraina non sarà obbligata a fare i conti con la propria situazione interna e la propria economia, distrutta e in mano a pochi oligarchi che, con la guerra, non hanno fatto altro che arricchirsi ulteriormente.
Quello che, a mio avviso, dobbiamo chiederci è a chi conviene che si protragga questa situazione. Penso che anche all’osservatore più parziale sia ormai chiaro che la Crimea non ritornerà all’Ucraina e che gli accordi di Minsk 2 sono lettera morta.
Se da un lato senatori repubblicani come McCain e Graham, durante una visita alle truppe ucraine hanno rinnovato l’impegno statunitense contro la Russia invitando l’Ucraina a non fermare la propria offensiva, dall’altro la linea politica delineata da Trump è tutt’altro che questa, prevendo in teoria un riavvicinamento con Putin.
Allo stesso tempo, nella nostra vecchia Europa, ai proclami dei deputati europei in Plenaria a Strasburgo sembrano non fare eco le cancellerie di diversi governi nazionali che, se a parole continuano a difendere gli accordi di Minsk, nei fatti sono ben consapevoli che una normalizzazione dei rapporti con la Russia significherebbe la fine delle sanzioni e rinnovati rapporti commerciali, per il beneficio di tutti. Ecco quindi l’incoerenza politico-diplomatica della UE che brilla in tutto il suo fulgido splendore! Non dimentichiamoci infatti che Francia e Germania nei prossimi mesi saranno chiamate alle urne elettorali, e l’ultima cosa che Berlino e Parigi cercano è un’escalation della tensione con la Russia, soprattutto perché parti consistenti dei loro gruppi di interesse economico, delle loro stesse istituzioni e del loro elettorato rifiutano di proseguire con la linea di ostilità e con le sanzioni nei confronti del Kremlino.
L’acuirsi della crisi in Ucraina è inoltre un importante test per la nuova presidenza Trump. Il neo-isolazionismo sostenuto dal Presidente americano potrebbe indurre Washington a disimpegnarsi diplomaticamente dalla regione, riducendo drasticamente il supporto militare concesso. Risulta quindi chiaro come la posizione Kiev si stia indebolendo sempre più. In assenza di un conflitto attivo, e ancora peggio alla luce della possibilità della fine delle sanzioni, quello che rimane dell’Ucraina è infatti l’immagine di un paese dilaniato internamente, con la presenza di frange fasciste fuori controllo e un’economia disastrata prossima al collasso.
Questa teoria verrà messa presto alla prova: dopo le discussioni tenutesi il 18 febbraio Russia, Germania, Francia e Ucraina hanno accettato di usare la loro influenza per lanciare un nuovo cessate il fuoco a partire dal 20 Febbraio. Niente di nuovo sul fronte orientale insomma, ma rimane da vedere quanto questa tregua durerà e chi eventualmente compirà la prima mossa per far saltare il banco, come già successo a più riprese. Questo sarà un elemento rivelatore fondamentale per meglio capire le dinamiche in gioco.
Ma non aspettatevi che i giornali vi parlino di tutto questo: come diceva Eschilo, e come spesso ho ripetuto anche io in Plenaria al Parlamento europeo, la prima vittima della guerra è la verità, che varia a seconda dal calibro “mediatico” a disposizione degli attori coinvolti. Le vittime in carne ed ossa, invece, si contano per le strade di Avdiivka (cittadina a nord di Donetsk da sempre tra gli epicentri del conflitto lungo la linea di cessate il fuoco) schiacciate dai giochi politici delle grandi potenze.
A chi ancora ritiene che la Russia sia l’unica colpevole della situazione che si è venuta a creare potrei, con ironia, citare le parole del tanto vituperato Trump il quale, durante un’intervista, al giornalista che affermava “Putin è un killer” rispondeva senza esitazione: “Lei pensa davvero che il nostro Paese sia così innocente?”.