Fino ai primi anni novanta, l’Italia è stata, in particolare con la Valsella Meccanotecnica, uno dei principali paesi produttori di mine terrestri e antiuomo. La produzione e il commercio furono bloccati da una moratoria del 1994. Il Belpaese, per una volta, ha anticipato le tendenze internazionali e il trattato di Ottawa (Canada) del 1997, lo strumento internazionale più ampio per bandire le mine terrestri dalla comunità mondiale. Ben 162 Stati l’hanno firmato o ratificato ma spiccano tra gli assenti la Cina, la Russia, l’India e Stati Uniti che con l’accordo di Maputo (Mozambico) di quest’anno hanno dichiarato che non produrranno né acquisteranno più mine antiuomo, incluse quelle che servirebbero a rimpiazzare gli stock alla loro scadenza.
Abbiamo una responsabilità nei confronti delle vittime delle mine antiuomo: sono italiane molte di quelle che giacciono nel terreno, attendendo che a schiacciarle sia il peso del piede di un uomo, di una donna o di un bambino. Questo è il peso della nostra colpa.
Oltre sessanta paesi nel mondo sono affetti da questa piaga e oltre un centinaio di milioni di mine sono state lasciate durante i conflitti come quelli in Afghanistan, Bosnia, Cambogia, dell’Iraq e Vietnam (secondo i dati del 2004).
La disseminazione di mine ostacola lo sviluppo di interi paesi. Come si fa a coltivare un campo, a costruire una casa, ad andare a scuola o ad abbeverarsi a una fonte d’acqua se in quel terreno si rischia la vita per camminarci sopra?
Ieri ho partecipato a un incontro, dove ho discusso di questo tema insieme al principe Mired Raad Al Hussein e agli europarlamentari: Sabine Losing, Afzal Khan e Bodil Ceballos. Dopo la morte di Lady Diana, attenta sostenitrice di questa causa, sembra che pochi rimangano ad occuparsene. Io mi impegno durante tutto il mio mandato a portare costantemente questo tema all’attenzione della Commissione Afet di cui sono coordinatore. Sosterrò lo sviluppo di strutture e aiuti a supporto delle vittime. Lotterò per un futuro libero da questi strumenti criminali di morte.
