sabato 25 marzo 2023

Beato il Paese che non ha bisogno di ricercatori eroi

28

Set 2016

Il prossimo 30 Settembre, in più di 250 città europee, si celebrerà la Notte della Ricerca.
Sarà certamente una “notte di eroi”, di campioni della scienza, come evoca il sito della Commissione europea dedicato all’evento. Tra di loro, molti eroi italiani.

In cosa si esprime l’eroicità dei nostri ricercatori? Forse nello svolgere un’attività di vitale importanza per il progresso di un Paese, senza ottenere tuttavia il supporto necessario da parte delle istituzioni. A partire dalla mancanza della base materiale del loro lavoro: le risorse economiche. E poi, anche quando le risorse sono disponibili, entra spesso in gioco, purtroppo, l’incapacità di utilizzarle come si dovrebbe. Oppure, ancora peggio, la disonestà della malapolitica. Quella che nutre se stessa, arrecando un danno enorme al Paese.

Nel 2012 un’inchiesta del Fatto Quotidiano fece da apripista nello svelare lo scandalo: fondi europei destinati alla ricerca finivano in realtà in mille rivoli che con la scienza non avevano nulla a che fare.
Parliamo di fondi che l’Ue ha stanziato nel periodo 2007-2013 per le regioni del sud Italia verso i settori “ricerca e competitività”. Le risorse interessano il cosiddetto PON (Programma Operativo Nazionale) la cui responsabilità di gestione è condivisa tra il MIUR (Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca) e il MiSE (Ministero dello Sviluppo Economico) con l’intento di favorire l’integrazione fra le politiche legate allo sviluppo tecnologico e quelle relative all’innovazione industriale. La rendicontazione del Programma è ancora in corso ma i risultati finora ottenuti sono sbalorditivi. Gran parte delle risorse economiche sono infatti finite ad abbeverare “ricerca e competitività” di aziende produttrici di materassi, imballaggi o scocche per automobili. Ci sono case di riposo, autolavaggi, negozi di abbigliamento, impianti sportivi, negozi di abiti da sposa. E ancora birrifici, bed & breakfast, campi di beach volley, pastifici, panifici e oleifici, iniziative di bike sharing e social network per il turismo. Addirittura è accaduto che il finanziamento sia stato ricevuto da enti – teoricamente con accreditata esperienza in “ricerca e innovazione” – che hanno nomi a cui non corrisponde alcun sito internet o indirizzi che conducono, come mostra Google maps, ad una strada provinciale polverosa e deserta.

Tutto ciò è ampiamente documentato dal sito Open Coesione, dove è possibile consultare tutti i progetti finanziati con i Fondi europei di cui l’Italia è beneficiaria.
Lo scorso 19 settembre la trasmissione “Presa Diretta” è tornata a denunciare questo sistema marcio con un servizio dal titolo “La ricerca tradita”. La puntata ricostruisce scenari impietosi e scandalosamente veri.
Ne emerge un paradosso: una volta arrivati da Bruxelles, i soldi vengono smistati a Roma attraverso i ministeri. Ciascuno di essi li destina a seconda dei propri interessi. Ecco spiegata l’assurdità dei fondi per la ricerca finiti impropriamente a finanziare autolavaggi, alberghi o case di riposo.

Che fare, dunque, di fronte a uno scenario così desolante? Suggerisco una maggiore severità nella scelta dei progetti, attraverso criteri rigidi riguardo alla ammissibilità e alla coerenza con il Programma di finanziamento, in modo da garantirne qualità ed obiettivi. A questo deve necessariamente seguire un controllo del progetto in corso d’opera per dare spazio ad eventuali azioni correttive, se non addirittura alla revoca del finanziamento.
Uno dei peggiori mali italiani, causa dell’inefficienza complessiva del nostro Paese, è il clientelismo di una cattiva politica che guarda solo al proprio interesse: un meccanismo perverso che dobbiamo e possiamo invertire.

Se vogliamo davvero celebrare la Notte della Ricerca, va raccontata la verità dei fatti. La politica che ha rubato sulla pelle dei ricercatori non è neppure degna di questo nome. I nostri ricercatori, loro sì, meritano il nome di eroi. Anche se certamente sarebbero più felici di poter semplicemente lavorare.