Guida tedesca e asse nordico: è questa l’Europa che vogliamo? Quella che, in attesa dell’ancora lontana (purtroppo) transizione energetica verso le rinnovabili, quando si parla di approvvigionamenti energetici – ganglio vitale per l’economia del nostro continente – china la testa di fronte ai diktat di Angela Merkel e alle imposizioni degli alleati americani, che ci dicono per quale tracciato far transitare gasdotti e oleodotti? O invece quella che persegue gli interessi dei popoli, soprattutto quelli del sud Europa, i più colpiti dall’austerity targata Bruxelles e voluta da Berlino?
Rispondo a queste domande riflettendo su quanto sta accadendo in questi ultimi mesi riguardo alla controversa costruzione del gasdotto Nord Stream 2. Un progetto avviato lo scorso settembre, quando il colosso petrolifero russo Gazprom ha deciso di puntare sul passaggio energetico a nord-ovest, rafforzando il percorso originario del già esistente Nord Stream. La scelta è stata quella di portare il metano proveniente dalla Russia direttamente in Germania passando per il Mar Baltico, bypassando quindi l’Ucraina, classicamente il canale più diretto per la rotta energetica tra Mosca e l’Europa.
C’è da dire che la mossa di settembre è stata determinata dalla difficile posizione in cui la Russia si è trovata dopo l’imposizione della sanzioni da parte di Bruxelles. A luglio era arrivato lo stop per il progetto South Stream, oltretutto con ricadute economiche pesanti per la società italiana Saipem, controllata dall’ENI, che ha così perso una commessa da 2,4 miliardi di euro. Tre mesi prima, la Commissione europea aveva accusato Gazprom di abuso di posizione dominante sui mercati del gas dell’Europa centrale e orientale. Nella comunicato del 22 aprile si legge come il gigante energetico russo ha, tra le altre cose, limitato “la capacità dei propri clienti di rivendere il gas a livello transfrontaliero. Ciò potrebbe aver consentito a Gazprom di praticare una politica dei prezzi sleale in alcuni Stati membri. È inoltre probabile che Gazprom abbia abusato della propria posizione dominante sul mercato subordinando le proprie forniture di gas all’assunzione di impegni di altra natura da parte dei rivenditori all’ingrosso per quanto riguarda le infrastrutture di trasporto del gas”.
Sarà, però è quantomeno singolare che, mentre quando si parla di South Stream le forniture di gas vengono giudicate pericolose per il mercato europeo, quelle che passano a Nord sembrano invece non creare alcun problema per la geopolitica energetica dell’Unione.
Di questa palese incoerenza si sono accorte diverse nazioni europee, che a fine novembre 2015 hanno espresso la loro contrarietà al raddoppio di Nord Stream inviando una lettera indirizzata alla Commissione europea. Un blocco di otto Paesi (Repubblica Ceca, Ungheria, Romania, Estonia, Lituania, Lettonia, Grecia e Bulgaria) ha seguito l’iniziativa guidata da Polonia e Slovacchia, sostenendo che il nuovo gasdotto avvantaggerebbe soltanto il più forte dell’Unione, la Germania, a danno di tutti gli altri.
Il problema è stato anche toccato – senza però essere risolto – nel corso del summit tenuto a Bruxelles prima della pausa invernale. Perfino il presidente del Consiglio europeo, il polacco Donald Tusk si è sbilanciato, garantendo il proprio sostegno al gruppo dei Paesi contrari. Secondo Tusk, il progetto non rispetta le regole dell’Unione sulla diversificazione delle forniture energetiche e mina il ruolo dell’Ucraina come Stato centrale di transito. Seguendo un percorso politico differente dalle alleanze del blocco dell’Est, si è aggiunta poi anche l’Italia. Matteo Renzi, una volta tanto in rotta con Bruxelles a guida tedesca ha voluto sottolineare come l’appoggio a Nord Stream 2 sia incoerente con le sanzioni contro la Russia, oltretutto appena rinnovate dall’Unione anche se debolmente ostacolate da Roma. Osservazione ritardataria, quella del Presidente del Consiglio italiano, e motivata dal risentimento momentaneo a causa dei richiami europei verso il nostro Paese riguardo all’immigrazione e alle banche dopo lo scandalo di Banca Etruria.
Quel che è certo è che in molti si sono accorti di come il “passaggio a Nord Ovest” avvantaggia Berlino e svantaggia gli altri, tanto nel sud che nell’est dell’Europa. Riprendo dal collega portavoce 5 Stelle al parlamento europeo Dario Tamburrano l’analisi che spiega come grazie al nuovo gasdotto, “la Germania sarebbe tranquillamente in grado di prendere il posto dell’Ucraina e di smistare verso l’Europa orientale e balcanica – la più dipendente dal gas russo – il gas importato”. Un’operazione che, secondo i calcoli della piattaforma di informazione indipendente Russia Insider, può fruttare alla Germania circa 3 miliardi di dollari l’anno.
Ecco spiegate quindi le ragioni di una grave sudditanza energetica dell’Europa a guida tedesca. Se la cancelliera Angela Merkel vuole perseguire politiche che vanno a esclusivo vantaggio del proprio Paese, quale progetto di politica comune emerge? E perché Bruxelles non si esprime apertamente per ottenere un riequilibrio in favore dei Paesi del Mediterraneo, ormai privati della prospettiva di un proprio South Stream? Una domanda, questa, che avevo già avuto modo di porre nel corso di un intervento video da Strasburgo a proposito delle tensioni tra Russia e Turchia, che hanno (casualmente?) condotto all’archiviazione anche di un possibile progetto alternativo, il cosiddetto “Turkish Stream”.
Anche in ambito energetico viene replicato lo stesso, identico copione già visto in ambito economico, con il surplus tedesco delle partite correnti che ormai da 9 anni sfora le regole del meccanismo di sorveglianza degli squilibri macroeconomici senza che nessuna infrazione venga aperta nei confronti di Berlino, con il complice silenzio della Commissione Europea. Siamo stanchi di ascoltare i richiami di Frau Merkel in favore della solidarietà comune, mentre la realtà ci dice che il suo Governo è riuscito ad asservire l’azione politica dell’Unione al perseguimento degli interessi nazionali tedeschi. Purtroppo è ormai fin troppo chiaro che in Europa per i paesi del Mediterraneo le regole si applicano. Per la Germania, invece, s’interpretano.